Aprile 2003

Associazione"La Trisa"di Mortaso

La "trisa", l'utensile di legno che da secoli accompagna la preparazione della polenta dan-
do, poco a poco, con il suo rimestare, consistenza alla farina dorata che ribolle nel paiolo,
è il nome che, un gruppo di emigrati, in particolare arrotini, ma anche altri artigiani,
comunque legati alle professioni connesse al lavoro del "moleta", come macellai, venditori di
ferramenta o barbieriprofumieri, nel 1955 ha scelto per indicare la propria associazione - "La
Trisa" appunto - nata a Mortaso quasi mezzo secolo fa, Nel 1956 la sua costituzione viene
ufficializzata con la registrazione, tra le prime di tutto il Trentino, dello statuto che fissa,
ufficialmente, l'anno di fondazione e l'inizio delle attività.
Il sodalizio, oggi presieduto da Renato Lorenzi, è nato per riannodare, attraverso la promozione di
attività culturali e periodici incontri tra amici e simpatizzanti i fili con le radici, la storia, le tradizioni
e i ricordi del paese d'origine, lasciato dalle generazioni dei padri e dei nonni, ma mai
dimenticato,
"La Trisa" nasce dall'idea di un gruppo di "pionieri", circa una ventina di persone, che, nel 1955,
da diverse città e paesi spersi per l'ltalia, si ritrovò prima a Mortaso, in occasione della Sagra dedicata
alla Madonna della Neve, e poi in Nambino per trascorrere un'allegra giornata tra amici, naturalmente
in compagnia di una fumante polenta,"Quel gruppetto di persone - apprendiamo dai
documenti dell'associazione - fu subito straordinariamente entusiasta dell'idea di fondare l'asso-
ciazione e, quindi, ritornato a Mortaso, si precipitò adacquistare un quadernetto e stese lo statuto sociale.

In esso vi si leggeva: "Scopo dell'associazione è organizzare una volta all'anno la polenta all'aperto",
Quindi C'e' poco da dire: il Vero scopo originario, quello voluto dai fondatori, era questo e niente altro di questo.
Tutto il resto la valorizzazione del folklore, la ripresa dei festeggiamenti della Sagra del paese, l'organizzazione di
manifestazioni varie - è venuto dopo. I primi ampliamenti al sopra indicato scopo principale vennero comunque subito
dopo, quando cominciarono le prime idee, le prime proposte, che sono state "l'ossatura" del-
l'associazione del tempo. Ad esempio, nel verbale del consiglio tenutosi il 5 settembre
1956 a Milano, si annota: "All'unanimità è stato deciso che la Trisa, nel limite del
possibile, intende ripristinare le vecchie usanze del paese, ed in particolare dar lustro alla
nostra Sagra". C'era, in quei tempi concludono le pagine dedicate ali albori dell'associazione -
una vitalità e una voglia di stare insieme, che ci dovrebbero far molto riflettere per i tempi
attuali.
L'associazione viene dunque fondata per costruire un ponte di amicizia e di ritrovati
ricordi comuni tra quanti lavorano lontano,principalmente a Milano e nella provincia del
capoluogo lombardo, e Mortaso, il paese d'origine dove i "moleti" e gli emigrati ritornano
d'estate, per la Sagra della prima domenica d'agosto, oppure d'inverno per le vacanze di
Natale,
Per un certo periodo Mortaso e Milano sono legate a doppio filo e le riunioni
dell'associazione si svolgono alternando, come sede degli incontri, il paese piuttosto che la
città.
Dell'associazione, ieri come oggi, possono farvi parte solamente gli uomini che abbiano
compiuto sedici anni. La norma dello statuto,che inizialmente consentiva l'accesso
solamente agli uomini nati a Mortaso, oppure ai figli e ai generi
di soci che avessero domicilio nel paese della Val Rendena, è stata successivamente
modificata consentendo l'ingresso, alla fine degli anni Ottanta, anche agli abitanti degli altri
due paesi dell'antica "Pieve" di Spiazzo, ovvero Fisto e Borzago, con i quali le vicende e la
storia di Mortaso si sono sempre intrecciate. In un terzo momento l'accesso è stato permesso
anche agli uomini che avessero sposato donne di Mortaso e, infine, a tutti i simpatizzanti, dopo
un periodo di prova di cinque anni e previa approvazione del direttivo. Si comprende, in
questo periodo, che lo sviluppo della zona non è legato ad un solo paese e il gruppo sente
l'esigenza di allargarsi e intrecciare nuovi legami.

Tra le prime iniziative promosse da "La Trisa", che cerca di dare nuovo impulso alle potenzialità
della comunità valorizzandone il patrimonio culturale e tradizionale, c'è il miglioramento della Sagra della
Madonna della Neve, che si svolge ogni anno la prima domenica d'agosto, e diventa una delle piu'
apprezzate feste patronali della Val Rendena, Un altro appuntamento importante, nell'ambito dell'ani-
mazione proposta alla comunità, è la corsa in montagna che si tiene per diverse edizioni negli anni
Settanta,
Parimenti all'ampliarsi della compagine sociale, anche gli interessi del sodalizio mutano, guardando
verso nuovi orizzonti. Le tonalità, allora, travalicano il semplice "ritrovarsi a festa con gli amici", per
spostarsi verso la valorizzare delle tradizioni e la salvaguardia del patrimonio della comunità. In
questo senso, ad esempio, negli anni Ottanta, viene dato impulso alla ristrutturazione di alcune malghe di
Mortaso lasciate all'abbandono, lanciando "uno sguardo, nello stesso tempo, sul patrimonio
presente e su quello futuro", Se nei primi quindici anni, infatti, l'attenzione dell'associazione è
principalmente rivolta agli incontri e alle iniziative rivolte all'ambito ristretto dei soci, dal
1970, con la rifondazione e le modifiche introdotte nello statuto, l'impronta culturale si fa via
via sempre piu' incisiva. Costante è invece l'attenzione rivolta alla solidarietà verso la comunità,
nella quale si inserisce la festa promossa ogni anno presso la Casa di Riposo
Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo, "La Trisa" arricchisce il
suo ventaglio di interessi culturali, approfondendo le tematiche legate alla storia
dell'emigrazione, attraverso la conoscenza, che diventa amicizia e collaborazione, con il
professor Angelo Franchini. I soci dell'associazione, emigrati o figli di emigrati,
forniscono documenti e testimonianze vive allo studioso dei gerghi di mestiere ("taron) e dei
linguaggi di contatto ("rendenglese" e "trentinglese"). Sempre in questo periodo inizia l'or-
ganizzazione di alcune serate di presentazione di libri come: "Taron" di Angelo Franchini,
"Tridentinità transoceanica" di Giovanni Amistadi nell'edizione curata dal medesimo
Franchini, oppure "Selma e Guerrino", un epistolario raccolto da Rosalba Dondeynaz e
tenuto, tra il 1914 e il 1920, dai coniugi rendenesi Anselma Ongari e
Guerrino Botteri oppure, ancora, le raccolte di poesia di Sergio Collini.
Negli ultimi dieci anni si intensifica l'attività di recupero culturale e di documentazione
storica in collaborazione con il Centro Studi Judicaria, mentre proseguono le presentazioni
di libri come "Trentini Tirolesi negli Usa 1947-1951" di Angelo
Franchini edito postumo, nello stesso anno della morte dell'autore, dal CSJ, oppure quello di don
Celestino sulla storia di Mortaso.
Nel 1995 nasce invece un forte legame culturale, che diventa poi gemellaggio, con la comunità di
Scarperia, comune toscano in provincia di Firenze, importante riferimento per gli arrotini di Mortaso
nell'ambito della lavorazione dei coltellini e della lavorazione a serramanico. In questo contesto è da
ricordare anche "Spiazz tradizional". la manifestazione organizzata a Spiazzo da "La Trisa" e dalle
varie associazioni del paese, per rivitalizzare le tradizioni e la cultura locale.
Nel tempo si sono succeduti diversi presidenti che sono, nell'ordine:
Giovanni Lorenzi "Culinacc" (1955-1956),
Cesare Compostella (1957-1958),
Leandro Collini (1959, 1962-1964, parte del 1972),
Placido Lorenzi (1963),
Angelo Lorenzi "Saro" (parte del 1972-1973),
Ugo Lorenzi (1974-1979),
Cornelio Lorenzi (1980),
Battista Collini "Battistin" (1981-1982),
Mario Lorenzi "Primin" (1983-1985),
Gilio Lorenzi (1986, 1988-1992, 1994),
Battista Collini "Mondin" (1989-1991),
Claudio Bina (1995-2000),
Renato Lorenzi (dal 2001).

L'attuale consiglio direttivo, che affianca il presidente Renato Lorenzi,
è invece costituito da: Luigi Magna (segretario),Imerio Santoni (tesoriere),
Attilio Lazzarin, Battista Lorenzi, Ervino Lorenzi, Gilio Lorenzi,
Olimpio Lorenzi e Stefano Lorenzi (consiglieri).

"La Trisa" mantiene i legami con gli associati e i simpatizzanti attraverso le varie
attività organizzate, ma anche per mezzo di due strumenti di comunicazione: il foglio notizie
"La Trisa", periodico distribuito ogni tre mesi, e il sito internet, "una sorta di album, non solo
fotografico",dedicato alla vita dell'associazione, che si può consultare all'indirizzo
www.digilander.libero.it/latrisa (e-mail: latrisa@libero.it). Sul web si possono visionare
le foto delle feste e delle iniziative promosse, consultare lo statuto e i numeri del notiziario,
trovare il testo della canzone - simbolo de "La Trisa" e, ancora, avere informazioni sul Museo
del Moleta, un progetto del Centro Studi Judicaria, al quale l'associazione di Mortaso sta
collaborando, attraverso i suoi soci, con una ricerca di documenti sulla storia e le vicende
dei moleti di Rendena.

1985 - IL RITORNO DEL "MOLETA" - AL CAClÀL AL TORNA ENDRÈ
È il 1985 quando, su iniziativa de "La Trisa", in occasione del suo trentesimo anniversario di
fondazione, e in collaborazione con i "moleti milanesi" e la Pro loco di Spiazzo Rendena, viene
organizzato uno straordinario evento che ritroviamo,oggi, come uno dei ricordi più signifìcativi ascritti
negli annali dell'associazione. Si tratta di' "ll ritorno del moleta", ovvero del viaggio compiuto, tra l'1 e
il 4 agosto del 1985, da un gruppo di arrotini che, a ritroso, hanno compiuto il cammino intrapreso, anni
prima, dai loro padri e dai loro nonni verso nuove mete. in cerca di fortuna. A piedi, spingendo a turno
due antiche "mole", gli arrotini hanno viaggiato per quattro giorni, percorrendo una distanza di oltre
duecento chilomelri. da Milano a Mortaso, che li ha riportati, sulle tracce dei loro avi, verso casa. Quel
giorno di diciotto anni fa è stato documentato da un articolo - reportage di Claudio
Kaufmann intitolato "La Dinasty degli arrotini", oggi interessante documento conservato tra le carte
e ricordi de "La Trisa" che, di seguito, riportiamo.

""Ho cominciato nel '31 in Svizzera, ero il"'caciàl" di mio padre, il suo garzone. Dal '37
al '45 ho fatto l'alpino. Dopo la guerra a Milano sono diventato "moleta", arrotino a tutti gli
effetti. Stavo a Cimiano, dormivo in un sacco sulla paglia, sveglia alle cinque, a piedi con
la mola fino in città, poi si cominciava a urlare "moleta", salivamo le scale a raccogliere forbici,
coltelli, attenti alle portinaie che ci cacciavano.Eravamo appena un grado sopra i mendicanti:
se "ciapava" 50 centesimi a coltello e 1 lira per fare la lama al "rancell", il falcetto del
contadino". Alessandro Lorenzi ha quasi 70 anni, racconta la sua vita col fiato grosso. Ha
appena finito di spingere, per quasi un chilometro di salita, una "mola a gamba", in
dialetto "carisola", l'antico attrezzo del mestiere, una specie di carriola con un pedale
che fa girare la mola vera e propria, un ruotino di legno o di pietra su cui si affìla qualsiasi
lama. Ha partecipato così alla parte fìnale di "Il ritorno del moleta al caciàl al turna endrè",
iniziativa - rievocazione di un antico mestiere oggi quasi scomparso che è stato, per diverse
generazioni, la fonte di sopravvivenza di una valle intera, la Val Rendena, e in particolare
degli abitanti di Spiazzo e delle sue tre frazioni Mortaso, Fisto e Borzago. Una emigrazione
obbligatoria dovuta alla povertà agricola di una valle stupenda: sulla destra le Dolomiti di
Brenta, nota per il mugo, la resina odorosa che insaporisce le caramelle Golia, sulla sinistra
l'imponenza dell'Adamello, terreno di caccia di stelle alpine e rododendri. Accanto a Lorenzi un
altro decano dei moleti ha arzillamente spinto la sua "carisola". Buffi Orazio, 70 anni già
compiuti. Così rievoca la sua iniziazione: "Partii a 13 anni con mio zio, diretto a Vigevano, ci
fermammo sul Ticino vicino alla casa di un contadino che ci offrì per dormire il suo
pagliaio. Era pieno di spine; cercai di scavare un buco per riposare meglio e mi ferii una mano. Lo dissi
a mio zio, il suo unico commento fu "La vita è tutta piena di spine"; dopo dieci minuti cominciarono a
passarmi sulla testa delle "pantegane" lunghe trenta centimetri. Lo dissi a mio zio e il suo commento fu:
"Non farci caso, ti abituerai, ti tèmprerai alla vita dura del moleta"; così è iniziata la mia via crucis
dell'arrotino... ho avuto tante sensazioni",Oggi sia Alessandro Lorenzi che Orazio Buffi
hanno belle scarpe ai piedi e pantaloni ben stirati. Ai loro figli e nipoti hanno lasciato negozi di coltelleria
avviati a Milano. Una stima approssimativa dice che oggi in tutto il mondo, da Lipsia a New York a Lima,
per fare solo tre esempi, ci sono qualche centinaio di negozi di coltelli e parecchie industrie del ramo
gestite da parenti di nativi della Val Rendena emigrati "pour cause". Così un gruppo di dieci milanesi, tutti
coltellinai ovviamente, ha voluto rendere omaggio ai padri e ai nonni, percorrendo a ritroso le tappe
dell'emigrazione: a piedi da Milano a Mortaso, spingendo due mole di antica fattura, le stesse usate
cinquanta o cento anni fa. Sono partiti giovedì scorso da piazza Diaz per arrivare domenica
mattina dove tutto il paese li aspettava per applaudirli e celebrare una messa. Duecento
chilometri in tutto, spingendo a turno due mole di mezzo quintale, vestiti come i loro avi, col
capellaccio, il panciotto e le camice di stoffa a quadroni. Nonostante la fatica hanno viaggiato in
anticipo sulla tabella di marcia, percorrendo in soli due giorni buona parte del tragitto.

IL PADRETERN DEI CIUCC.
"Non era la fatica di camminare che ci disturbava, ma il caldo dell'asfalto. Guardi qua, ho i piedi
pieni di vesciche". Chi impreca è Vittorio, soprannominato dal gruppo il "padretern dei ciucc" per via
del suo bicchiere quasi sempre colmo. Ma che ci fanno tutti quei fili sui piedi? "E' una tecnica per
spurgare le vesciche, le si trapassa con ago e filo, Abbiamo fatto turni di un'ora, soprattutto all'inizio,
troppo caldo e troppa afa. Le mole, nonostante il peso, tutto sommato scivolavano bene". Queste le
difficoltà pedatorie di una marcia sul bitume moderno, comodo per viaggiare in macchina, doloroso
per gli arti inferiori, nonostante la possibilità di un riposo assicurato sui sedili di due camper che
seguivano la comitiva. Fra i dieci che hanno marciato ci sono un paio di generazioni,
ormai assimilate alla vita metropolitana: nel panciotto si notano i pacchetti di Marlboro
"mio nonno ci teneva ovviamente il toscano", ai piedi Adidas e Stan Smith.

NELLA TERRA DELL'ANTICA TRISA.
Dice Gilio, mente organizzativa:"Abbiamo voluto tornare a casa, da dove sono partiti i nostri avi. Riportare
nella terra d'origine lo strumento con cui sono andati a cercare fortuna. Per la nostra idea abbiamo avuto
subito l'appoggio incondizionato de "La Trisa", l'associazione degli arrotini di
Spiazzo-Mortaso. La "Trisa", in dialetto, è il mestolo con cui si rigira la polenta, praticamente l'unico cibo
che ha sfamato per secoli la Val Rendena".Ma come mai ad un certo punto si è
trasformata nella valle dei moleti, degli arrotini? Circolano in proposito diverse leggende. Via
naturale di accesso al Brennero la Val Rendena è sempre stata parecchio sfruttata da
viaggiatori ed eserciti. Ad esempio molte parole in dialetto hanno una radice francese perché
Carlo Magno ci stazzò per due anni con i suoi paladini. Si riferisce che il primo aspirante
moleta risalga ai tempi di Napoleone. L'imperatore scelse questo passo per trasferire
parecchie truppe dall'Italia all'Austria e dirigerle verso la Russia. Ad esse si accodò un
"rendenese" per affilare armi bianche di tutti i tipi. Tornò con parecchi soldi. Fu presto imitato
da altri abitanti, ma con scarso successo: gli eserciti austroungarici prediligevano arrotini di
Udine. Dalle armi i rendenesi si "specializzarono" in attrezzi domestici. Iniziò così
l'emigrazione "italiana" verso le regioni della Lombardia, Veneto, Emilia e Piemonte, seguita
intorno al 1880 da quella "continentale" verso il Nord Europa e poco dopo quella
"transoceanica" verso le Americhe.
Tra il gruppo dei marciatori l'esperto in storia degli arrotini si chiama Franco Lorenzi
"praticamente tutta l'epopea della valle ruota intorno a due figure: il moleta e l'alpino.
Quando qui governava Francesco Giuseppe, mio padre e tre suoi fratelli
hanno dovuto spararsi contro. Due stavano a Milano e furono arruolati con la
penna alpina italiana. Agli altri due fu messo in testa l'cima con il d iodo della "alpenjager". Per
fortuna se la sono cavata tutti".(...) Si cammina di nuovo: giunti a SpiazzoMortaso alle due mole
trascinate da Milano se ne sono aggiunte altre due, sistemate in bella mostra davanti alla
Chiesa, dove si è tenuta una messa dedicata ai moleti di tutto il mondo. Per una domenica il
paese ha potuto così ascoltare una curiosa predica in "taron", una specie di gergo, di lingua
convenzionale, ricavata dallo stesso dialetto rendenese che gli arrotini usavano per
comunicare tra loro senza essere capiti dalla gente del luogo, e specialmente dal cliente.
Terminata la messa ai "nonni" il compito di concludere la sfacchinata fino alla piazzetta
centrale di Mortaso tra gli applausi e il crepitio delle macchine fotografiche dei turisti. A metà
strada una sosta: l'emozione ha fatto un piccolo scherzo. Gli anziani partiti in quarta devono
fermarsi a riposare, la gente li aiuta per qualche metro fino a che non ripartono convinti. (...)
Poco dopo si parte di nuovo per Pinzolo, paese a sette chilometri. per l'ultimo gesto: rendere
omaggio al "Monumento degli arrotini"".

ALBERTA VOLTOLINI

 

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